6 – Terra di Anarchici e di dei. La Grecia.

25 Apr

Si vola verso la Grecia. I colori cambiano, sembra di entrare in primavera. Il verde dell’ampia vallata greca ci accoglie con un arcobaleno enorme. Ci si può immaginare i mitici greci passare, filosofare e menarsi in queste verdi praterie.

Tipica immagine da desktop con le colline verdi.

Arriviamo nella prima città greca, scritte sui muri delle quali solo i simboli si riconoscono. Fa piacere rientrare in un contesto dove la politica sembra sia oggetto di critica e riflessione e non solo di divisione etnico-religiosa. Dalle facce della gente, sembrano molti gli intellettuali anarchici, anche se è solo lo stile in voga. Ragazzi barbuti e vestiti tendenti al nero riflettono forse uno spirito greco che non so capire.

Vogliamo arrivare in nottata a Tessalonica, quindi prendiamo l`ultimo autobus e arriviamo che è notte.  Scendiamo dalla stazione verso il centro, più trafficato, in sella ai nostri fedeli destrieri. Arriviamo sul mare, sotto la famosa torre bianca. Posto di svago, musica, birre e relax. Ci accampiamo lì la notte nel parco.

6 – Macedonia o insalata russa?

25 Apr

Entriamo in Macedonia, non si sale molto però si sale. Dalla mappa sembrava che la strada scendesse invece i grandi laghi sono più in alto del previsto. Prendiamo un’altra vallata, gli sbarramenti delle chiuse fanno sembrare il lago come un fiume di qualche posto sperduto in Vietnam, mi ricorda un film, ‘Full metal jacket’ o qualcosa del genere. Forse la testa comincia a dare segni di delirio. Però ci assomigliava veramente.

Piove, smette e ripiove. Arriviamo a Struga, sul lago di Ohrid. Ricorda un po’ la Busa, tutto più aperto però, più spazio. Clima mediterraneo modificato e turisticizzato. Troviamo posto in una casa. Abbiamo stanza e cucina. Possiamo lavare le cose! Sacchi a pelo inclusi. Finalmente al riparo ci si può dedicare un po’ di tempo alla cura di se stessi.

Un ciccione italiano vive in un’altra stanza. Una specie di leghista varesotto in crisi di nervi, che ci raccomanda di stare attentissimi agli albanesi, ai turchi e ai greci… giudici e terroni. A tutti.

Ristorante per quattro soldi, se magna e se beve, finalmente si ritrova del buon vino, merce rarissima tra i Balcani e i suoi fiumi di rakya e birre.

Un giorno di riposo e poi ripartiamo. Verso Ohrid, la città a pochissimi chilometri, ma Alice ancora tossisce e non ce la fa. Ci fermiamo in città quindi. Oltretutto il tempo non migliora e ci prendiamo un paio di sciacquate nel giro di mezz’ora.

Chicche della Macedonia. In Macedonia si dice che una parte della Grecia (la Macedonia appunto) è loro. Non ci sono connessioni, nè treni nè autobus, tra la Grecia e la Macedonia slava, non si amano. La Grecia non riconosce la Macedonia con questo nome e la chiama Skopie dal nome della capitale. Se per caso lo stato della Macedonia dovesse entrare nell’Unione Europea, la Grecia accetterebbe solo se cambiasse il nome in ‘Insalata russa’ appunto. Dispute storiche nazionalistichesulle quali ognuno sarà libero di farsi i sui film mentali.

La verità è che se la macedonia è un insieme assortito di frutta di ogni tipo, albanesi, serbi, bulgari e greci.. Che frutta è la macedonia?

Decidiamo di prendere un autobus per riuscire ad arrivare in tempo a Tessalonica dove una contatto di una contatto di un contatto ci ospiterà e ci lascerà un appartamento per qualche giorno. Zero connessioni. Scendiamo, la Grecia è a una manciata di chilometri da noi, il vento finalmente ci spinge.

Mappa etno-politica della macedonia.

Mappa etno-politica della Macedonia (detta anche inslata russa)

Verso il confne Greco, spiragli di sole.

 

5 – La trappola albanese

25 Apr

In due. Il ritmo di viaggio è più tranquillo, molto. Alice non sta ancora bene, tossisce e fatica. Il vento contrario non ci aiuta. Facciamo tappa dopo pochi chilometri fra strade dissestate, pioggia quasi(!) assente. Un paesino, dove approfittiamo dell’accoglienza ecclesiastica in un camping (offre mia nonna penso) e lo scroccaggio ecclesiastico è peccato? spero di sì! Cuciniamo riposiamo ecc. La mattina dopo ripartiamo. Spiragli di sole. Strade dissestate a tratti. Sembra una bella giornata, si parte.  Mangiamo e poi sporco di olio i sacchi a pelo mettendo il riso nella stessa borsa, Alice sembra incazzarsi ma la sua vena freak ha la meglio, per mia fortuna.

Sembra una bella giornata, sembra perchè dopo la salita comincia il peggio. Il tempo peggiora di brutto. Ritorna la pioggia, ma ciò che è peggio il vento contro. Una lunga ma leggera salita si trasforma così in lotta interiore contro l’ira bestemmiatrice. Scendiamo dalla bici e andiamo alla stessa velocità che in sella. Un cane di non so quanti chili abbaia mostrando i denti a due passi, un altro più tardi si avvicina e passa, ci capiamo.

Arriviamo in cima dove poi si dovrebbe scendere, ma l’idea di raggiungere un passo dal quale poi scendere in Macedonia e chissà fino in Grecia si rivela non troppo azzeccata. Prima di tutto il vento dopo lo scollinamento non accenna a diminuire e si pedala con la sensazione di non avanzare. Attraversiamo la cittadina che ci ritroviamo davanti, una piccola baraccopoli alle sue porte. Un paio di chilometri e basta, ci si ferma. Incontriamo ospitalità calorosa di una stufa e qualche sorso di rakya. Ci si sente un po’ persi, ma la mentalità c’è. No future. Solo il presente esiste.

Proviamo a continuare e finalmente si comincia a scorrere. Maciniamo chilometri cercando un posto dove stare. Niente attira molto la mia attenzione. Comincio non a preoccuparmi, ma qualcosa del genere.

Paesini, case sparse, le facce della gente, stranita eccitata o indifferente, gli odiati claxon, la valle poi comincia ad aprirsi molto sfociando in un altipiano.

Entriamo in un paesino, all’entrata dà l’idea del tipico paesino gitano balcanico dell’immaginario d’oltremare. Strada di terra, case di legno o cemento, negozietti , bambini giocano per strada, cani sciolti, cisterne di metallo sui tetti ecc… manca solo di vedere una vacca su un tetto per raggiungere la perfezione.

Ci fermiamo nel centro del paesino nel bar, bar centrale, con l’idea di accamparci nell’aiuola davanti. Poi ci viene offerto di accamparci nel giardino in parte al bar. Al bar faccio una conoscenza particolare. Conosco un amico (stando aquanto dice) del kebabbaro di Trento dell’angolo dopo la stazione. Il primo kebabbaro di tutto il Trentino credo. Pilo, geometra in trasferta, ci offre un piatto di pasta che arriva mentre un fighetto mezzo abbastanza ubriaco seduto al tavolo con noi è superemozionato per aver incontrato altri “forestieri come lui” già che aveva appena distrutto la macchina e non può tornare a casa. Vorrebbe parlare italiano ma l’emozione alcolica gli lascia solo l’inglese. Un suo amico più sbronzo non capisce più un cazzo e comicia ad urlarci. Il barista ci ha lasciato stare in gardino da lui, meglio evitare problemi. Piantiamo la tenda e poi a nanna.

Mattina dopo risveglio con calma, ritroviamo il geometra nel bar coi colleghi, si è spaccata qualche macchina e non possono continuare i lavori sta mattina, ci offre internet e la colazione con uova e formaggio (formaggio albanese super salato).

Ripartiamo sperando che le nostre bici non facciano la stessa fine dei mezzi albanesi. Qualche colpo di tosse ancora si sente. Andiamo con calma, pazienza e finalmente attraversiamo la frontiera con la Macedonia, ultima tappa al bar sulla frontiera. Il tipo parla napoletano e ci offre ospitalità che rifiutiamo. Basta Albania. Macedonia, ci siamo!

4 – La vecchia e la bambina.

25 Apr

Non così presto, non così facile. La Macedonia ancora lontana. Le condizioni metereologiche continuano a mettere il bastone fra le ruote, oltre tutto le strade sono spesso ridotte male… male! Ritorno a dove ero rimasto. Eravamo a Skoder, la notte si avvicinava, abbiamo conosciuto dei ragazzi che parlavano italiano e ci hanno offerto ancora birra e rekya, partiamo alla ricerca di un posto dove passare la notte, verso la spiaggia. E’ già notte, troviamo un posto tranquillo sulla spiaggia davanti a dei complessi turistici, fuori stagione. Approfittiamo dei tavoli del bar, il barista parla più o meno italiano, resta con noi a chiacchierare. Mettiamo le tende, la musica dal bar è esagerata, il tipo se ne va e la lascia accesa… sulla stessa canzone, infinite volte si ripete ‘je t’aime’ di qualche malvoluta cantante francese. Spostiamo la tenda un po’ più in là, ma verso le ore non so che, arriva il vento, incessante, e fa partire la cappa esterna della tenda. Momento di nervoso estremo, quando spostando tutto troviamo un angolo più o meno buono, uno della sicurezza con kalasnikov e la sua faccia da pesce osserva dietro l’angolo. Un grido di rabbia contenuto al tono di bestemmia, quello se ne va. Si tranquillizza la situazione. Mattina ci si prepara con calma, solita indefinita quantità di caffè, e si riparte.

Direzione la montagna. Burrel. Dalla costa le montagne albanesi del nord sembrano una muraglia, non incoraggiano, non sembrano dare il benvenuto; oltretutto la coscienza di entrare in uno dei posti più esclusi d’Europa su cui gravitano storie ed esperienze alcune eccezionali altre disastrose, non dà nessuna sicurezza sull’avvenire più prossimo.

Si ripassa da Skoder, strade sconquassate, spennellate di asfalto e buchi. Ricomincia a piovere. Qualche chilometro e si vira verso est, la valle di fronte, verso i monti. Buffet al coperto di un bar. Piove e non smette. Una piccola folla di marmocchi ci bombarda di attenzione.

Le prime pedalate, fredde e umide, lasciamo il posto al ritmo costante di polmoni e cuore. Mi fa incazzare il tempo. Solo il Sylvan il “Re Leone” sembra vedere il sole, tutto sorridente durante un breve stop sotto un riparo.

Si sale lentamente, a un certo punto quasi piacevolmente, la salita è soave e il corpo caldo. Un lago che risalendo diventa piano piano un fiume sotto di noi.  La pioggia diminuisce, va e viene. Si scollina, si arriva all’altipiano collinoso di Burrel. Primo bar, si fa tappa, mizzi patocchi! Ripartiamo, ma la sera è vicina. Passiamo in un paese, a Burrel non ci si arriva se non ci si vuole distruggere. Chiediamo informazioni o ospitalità per accamparci, ma non si parla più italiano, solo albanese, non come sulla costa. E noi non sappiamo nessuna parola utile. Un ragazzo mi dice di aspettare chiama al telefono e una voce in italiano. Sono “costretto” ad accettare, Alice non è molto in forze. Ci ospiterà lui, offrendoci doccia e fornelli e un posto dove mettere i nostri sacchi a pelo. Un missionario bresciano, devo dirlo, veramente tranquillo. Non si parla di religione, ma di Albania. Dell’albanese, che non lo capiscono nemmeno i turchi, e apprendiamo le basi per comunicare nei giorni a seguire. Mir , gesuar per brindare, ska problem, che per dire sì si fa no con la testa e per no invece si.

La mattina seguente si riparte con qualche spiraglio ingannatore di sole. Stiamo pensando di dividerci, io e Alice, dagli altri due per via dei ritmi, condizioni e obbiettivi differenti di viaggio. Ma giusto il tempo di una discesa tra i colli, dell’altopiano poco piano, e alla salita successiva, al curvare della strada ritroviamo e li ritoviamo tutti e due fermi.

Una donna anziana segnata dallo scorrere degli anni e da una vita semplice ma non facile, spinta da una bambina dall’espressione timida e interessata,  fermano le nostre pedalate e programmi della giornata e ci ritroviamo tutti quanti ospiti di una famiglia di una semplice e profonda umanità. Restiamo con loro per tutta la giornata. Entriamo in una bolla di umanità difficile da trovare alla quale ci si abitua con estrema semplicità. I giorni seguenti ci mancherà tutto ciò.

Un divano, una stufa in mezzo a una piccola stanza, non ci si capisce molto, ma ci si comprende molto. Soprattutto con le bambine, noi motivo di illusione e felicità per loro e quindi per tutta la famiglia. Ambra la più piccola cieca è attratta dalla musica e dal ritmo. Ci mostrano foto di altri come noi, passati di lì per caso. Sembrano folletti, quando scorlano la testa per dire sì.

Facciamo un piccolo sforzo, raggiungiamo la piccola città, Burrel, tranne Alice, raffreddata, che rimane entrando più a fondo in un’atmosfera tradizionale in cui accarezzerà alcuni limiti o differenze nei ruoli. In città la gente non è molto abituata a vedere gente da fuori come noi, e ovunque ci fermiamo ci si forma gente attorno. `Wat`afuk iu do in Albania?“si sente chiedere Pierre, sublime espressione che meglio riassume il tutto. Torniamo portando caffè, arance e cose per ricambiare l’ospitalità, anche se per nulla richiesto.

Uno spiraglio di sole illumina le colline. E` uno spettacolo. Facciamo  compagnia durante la mungitura delle micromucche nella ministalla di legno, mi si passa il telefono e parlo con un figlio dei vecchi che abita a Genova. Comincia a diventare un’abitudine parlare al telefono con sconosciuti solo per essere italoparlante. La sera ci offono carne, loro mangiando fagioli.

Il giorno dopo la bambina è triste. Gli mancherà la compagnia di musica e rumore. Ripartiamo. Saluti e rimaniamo in due.

3 – Albania Impact

21 Apr

Da Sarajevo all’Albania. Giorni di pioggia neve e vento contrario hanno accompagnato le pedalate. All’inizio attraversando villaggi serbi ortodossi dai fantasmi oscuri alternati ad altri musulmani con il loro senso di pace con la morte. Prima notte accampati, dopo aver sfiorato il morso di un cane, al lato di un’osteria con una fantastica vecchia e ferrosa stufa a legna. Buona fortuna (Sretno) si chiamava e la mattina l’oste ci ha salutato offrendoci una specie di grappa che ci ha dato la carica per affrontare la neve fra la quale abbiamo montato la tenda.
La sera siamo arrivati in Montenegro passando per una strada a volte sterrata a volte no, incrociando “rumorose scatole a motore” ma soprattutto  pecore, volpi, vacche e… un toro stranito dal nostro passaggio.
Nell’attraversare la frontiera del Montenegro ci ha accompagnato una cagna tenerona, anche troppo, che pure la notte e la mattina compresa al minimo movimento reclamava attenzione. Ci siamo accampati subito dopo la frontiera al coperto in un chiosco chiuso fuori stagione. Il tipo del posto, oltre al via libera ci ha aggiunto un’altra botta di distillato prima di andarsene (non sia mai..), poi la sera polenta e vino alla buona ci hanno dato la buona notte tra i nostri rumori di chitarra e armonica.
Mattina, caffè nel baretto deserto a quattro metri e via. La cagna ci segue, il paesaggio si fa surreale, neve sospesa, la strada scorre liscia tra le pareti scoscese e lontano sul fondo il carico azzurro verde smeraldo del rio.
Sosta al primo paesino prima di raggiungere i 1200 e qualcosa, bar un po’ tamarro, prendiamo quattro caffè e ci abbuffiamo con le nostre provviste, partita a carte e via. Ancora neve. Finalmente si scende, il sole basso, il vento forte come pure i colori, il paesaggio aperto. Un bar, ci accampiamo in parte per coprirci dal vento.
Giorno seguente periferia di Podgorica, un ostello e un letto comodo senza troppa intimità. Scoop della serata la colonna sonora del re leone che si scopre pilastro musicale di uno dei compagni di viaggio. Ancora polenta, birra, tabacco e buona notte.
Usciamo dal Montenegro, lasciamo il colore dei suoi fiumi e entriamo in Albania. Far west, la strada distrutta, parodia italiana in salsa balcanica. Pausa buffet. Un vecchio si avvicina. Non ci si capisce, torna con un eccezzionale distillato di non so cosa. Una brillantezza etilica fa da benvenuto tra le strade sconnesse. Un caffè, torna la pioggia, si arriva a Shkoder.
Macedonia is coming.

2 – Sarajevo

21 Apr

L’arrivo a Sarajevo. Cani randagi ti accompagnano nelle passeggiate, cimiteri bianchi e verdi si fanno spazio tra le case sulle colline. Medioriente, Europa e cultura nomade si mescolano in questa città dandogli un fermento che nemmeno una guerra con un assedio di quattro anni ha potuto cancellare. L’ebbrezza balcanica ti ubriaca a fiumi di rechia e birra. Per rallentare e rompere il ritmo il caffè turco è una buona soluzione.
Aspetto ancora che arrivi e che questo vento porti un po’ più in là sta barca che osa perdersi nel mare.

1 – Intro

21 Apr

Que pasa? Succede che le vie dell’anarchia sono infinite ed io ho deciso di percorrerne una in bici.
Una specie di romanticheria vecchio stile pedalando verso levante, il sorgere del sole, per prendere un po’ di tempo e donare un po’ di colore ai vicoli oscuri, bianco cadaverici, dello spirito. Una lotta continua, ma ora contro me stesso.
Un manciata di giornate in bici partendo dalla piana friulana, passando per le Alpi Giulie e i Balcani fino al mare, dormendo in boschi, prati, spiagge e qualche volta sotto un tetto. Pedalando in salita, godendo in discesa, riflettendo in pianura.
Tutto ciò non in solitaria ma in compagnia. In un’intensissima agrodolce compagnia di quattro compagni di viaggio diretti verso l’ignoto.
Ho dovuto fermarmi per prendere fiato e tornare a casa per sistemare delle cose, abbandonando il gruppo all’annunciarsi dell’alba, dall’isola di Krk.
Scrivo perchè spero non finisca qui, ho imparato a comprendere e sentire, credo, cose e concetti prima solo facili da capire. La lentezza, nel senso della tranquillità profonda (abbandonando il futuro per il presente) è stato un compagno fondamentale in questo percorso. Su una rivista, al ritorno a casa, ho letto: ”Un bosco in fiamme è più visibile di un noce che lentamente affonda in profondità le sue radici nella terra e cresce pronto ad affrontare qualsiasi tempesta” (Nunatak) ed è proprio questo che rappresenta per me questo viaggio in bici, rallentare!… e dimenticavo, egualmente difficile, condividere e convivere.
Adesso non so dove siano i miei compagni, ma penso ripartirò a brevissimo verso Sarajevo, caricando chiappe e vecchia bici su un treno, un autobus o ciò che potrò per recuperare l’handicap di una settimana. Non so se riesco in quest’altra schizoide partenza a riprendere il cammino, ma ci proverò e le idee, atti e fatti che ne usciranno, cercherò di appuntarle qui, non si sa mai esca qualcosa di interessante per qualcun’altro.
Buona utopia a tutti.

”Libertà non è stare sopra un albero” (G. Gaber)

Hello world!

21 Apr

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